La storia

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Piegaro nel tempo

Durante il Pliocene (5,3 – 2,6 milioni di anni fa) al posto della valle del Nestore vi era un grande bacino d’acqua, le cui tracce sono tuttora facilmente riscontrabili negli innumerevoli sedimenti marini presenti nel territorio. Dall’ultima glaciazione di 110 migliaia di anni fa, fu colmato da fango e argilla, lasciando gradualmente il posto a una fitta vegetazione di castagni, querce e conifere.

Storia antica

Nell’area del lago Trasimeno, e in tutta l’Umbria, sono state ritrovate numerose tracce della presenza d’insediamenti umani nel territorio, risalenti fino all’età preistorica, precedenti ai fenomeni di antropizzazione etruschi e romani. Piegaro, tra gli altri, è stato a lungo territorio di forte richiamo, a causa della posizione sopraelevata e la ricchezza del suolo, che offriva abbondanti pascoli e sicuro riparo per gli abitanti (probabilmente pastori nomadi). I piccoli villaggi che sorsero sulle alture, durarono fino all’arrivo degli Etruschi (IX sec. a.C.) che, sottomesse facilmente le genti locali, si stabilirono in un territorio molto vasto dell’Italia centrale, che comprendeva le attuali Toscana, Umbria e parte del Lazio fino al fiume Tevere.

Piegaro era al centro di un’area fiorente compresa tra Chiusi, Todi e Perugia, dominata per due secoli dagli Etruschi. Ben presto cominciò il declino di questa civiltà: la veloce crescita di Roma, le invasioni dei barbari, la riscossa delle colonie greche e l’affermazione di popoli italici, accerchiarono le città etrusche che si ridimensionarono notevolmente. Per tutto questo periodo Piegaro ha visto il susseguirsi di vari abitanti, ma non è mai stata fortificata o resa città: il paese vero e proprio fu fondato dai Romani nel 290 a.C.; proprio in questi anni gli Etruschi, alleati con gli Umbri, subirono una pesante e decisiva sconfitta a Sentino (terza guerra sannitica) che sancì il loro definitivo assoggettamento ai Romani.

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Storia Romana

Roma diventa la protagonista indiscussa dell’area, ma la tranquillità è scossa nel 217 a.C. proprio sulle sponde del lago Trasimeno, quando Annibale tese un’imboscata ai romani che furono brutalmente trucidati. Piegaro, come tutte le città umbre, chiuse le porte ad Annibale, dando rifugio invece ai legionari di ritorno nell’Urbe. Annibale fu definitivamente sconfitto in un altro scontro, ma Roma continuò a scatenare lotte intestine. Piegaro e il suo circondario rimasero tranquilli per circa due secoli, soprattutto perché non si schierarono con nessun contendente, preferendo la tranquillità agli eventuali saccheggiamenti.
Dopo la battaglia di Azio (31 a.C.) che segnò la decisiva vittoria di Ottaviano, il primo imperatore romano si recò in visita a Perugia, che aveva barbaramente saccheggiato, per conferire alla città il titolo di Augusta. Durante il viaggio di ritorno, Ottaviano assieme al grande poeta Virgilio pernottarono a Piegaro: assieme a loro anche Q. Trebonio, che a Piegaro trovò la morte durante una battuta di caccia.

Per alcuni secoli, l’impero romano mantenne un clima di pace e prosperità, che nel III secolo d.C. fu interrotto da lotte intestine, che in seguito aprirono la strada ai nemici di Roma. Piegaro subì la stessa sorte e nel 455 fu saccheggiato e dato alle fiamme dai Vandali di Genserico: l’impero romano d’Occidente cadde definitivamente nel 476 d.C.
Fino a quel periodo le invasioni barbariche non rovesciarono la struttura sociale, politica e civile della penisola che mantenne l’assetto romano; invece dal 568 d.C. i Longobardi scardinarono le tradizioni assieme a templi, città, campi e ville, riducendo in schiavitù le popolazioni. Con il tempo le condizioni migliorarono, ma la dicotomia latino- longobarda sancì la perdita dell’“unità d’Italia” che i romani avevano creato, poiché il territorio fu suddiviso, in circa venti ducati. Uno di questi era Chiusi, cui Piegaro fece parte fino al 1601 quando confluì nella diocesi di Città della Pieve. Iniziò così un periodo intermedio d’incertezza, chiusura e immobilità: l’Alto Medioevo.

Dopo un breve periodo di speranza con l’impero carolingio di Carlo Magno (800-814 d.C.), nacque il feudalesimo, per sopperire alla mancanza di un potere centrale: la società era divisa tra il signore e i feudatari, mentre tutti gli altri erano sudditi e servi. Piegaro, come moltissimi altri comuni, provò per lungo tempo questa forma di tirannia oligarchica, che vide il susseguirsi di numerose potenti famiglie fino al XII secolo.

Nel 1240 a seguito di numerose sollevazioni dei Piegaresi contro il potere dei conti di Chiusi, il castello fu concesso ai conti di Marsciano, che si rivelarono non meno dispotici. I Piegaresi non mollarono la presa e continuarono le lotte, ottenendo il 10 aprile 1251 il lodo di Poggio Aquilone, che moderò il dispotismo dei signori e stabilì innovative regole di convivenza. Pochi anni più tardi con il Liber impositionis bladi del 1260 tutti i Piegaresi furono affrancati e quindi liberati dal giogo della schiavitù, ma non solo: poterono coltivare quasi in totale libertà le terre abbandonate fino a quel momento.

Questa nuova vita diede forza e speranza alla popolazione, che, dopo l’ennesimo sopruso, si organizzò per sovvertire il potere: nel 1295 i Piegaresi riuscirono a isolare e a incendiare il Cassero, il palazzo-fortezza dei signori, distruggendo l’ultimo baluardo feudale. Piegaro divenne a tutti gli effetti un Comune, a seguito di importanti ordinamenti e autonomie.

Piegaro tra Perugia e lo Stato Pontificio

Emblema dello stretto rapporto con Perugia è lo stemma del paese che Piegaro ancora conserva: due grifoni, uno di fronte all’altro, che sorreggono un giglio dorato; Piegaro, dopo la sua sottomissione a Perugia, è stato autorizzato dalla stessa a fregiare il proprio scudo con i due grifi.

Il benessere durò pochi mesi e Piegaro si vide costretta a sottomettersi a Perugia, tra i primi Comuni liberi, per mantenere un clima di sicurezza. Piegaro poté quindi continuare la sua trasformazione: migliorarono il tenore di vita, le infrastrutture e strade, si cominciò a ricercare il lusso e si affinò il senso estetico. Scoppiò una violenta guerra tra la Perugia guelfa (fedele al Papa) e le città di Todi e Spoleto, ghibelline (a favore dell’Impero), ma Piegaro fu danneggiata ed esonerata dalla partecipazione militare. Intano la popolazione e il benessere cominciavano ad aumentare anche se l’area fu colpita da una grave carestia nel 1326 ed era meta di scorribande delle nuove compagnie di ventura: inizialmente formate da ex-soldati stranieri cui poi si unirono nobili, signori, contadini e servi locali, giravano in lungo e in largo per l’Italia saccheggiando e seminando terrore, spesso a servizio di prelati o conti. Anche Piegaro e il territorio intorno subirono varie cessioni tra i potenti dell’epoca, ma ribellandosi riuscirono a cacciare prima il conte Guglielmo di Beaufort e poi i Bretoni capeggiati da Roberto di Ginevra.

Alternando periodi di relativa libertà e tranquillità si succedettero a dominatori di Perugia e del comprensorio molti signori: Gian Galeazzo Visconti (duca di Milano), Ladislao di Durazzo (re di Napoli) e Braccio da Montone (capitano di ventura nato a Perugia); alla morte di quest’ultimo nel 1424, l’intero territorio umbro perse vitalità per circa un secolo.

Nel 1443 Piegaro subì un pesante e devastante attacco da parte dei venturieri, comandati da Ciarpellone, durante il quale i Piegaresi resistettero un paio di giorni, ma furono fatti prigionieri e condotti a Cortona. Lentamente, con i negoziati e con gli aiuti di Perugia e della Curia, Piegaro fu ricostruita e nel 1476 era addirittura più forte di prima. La tranquillità vera e propria ci fu solo dopo un altro grave episodio che sconvolse gli italiani: la Guerra dei Pazzi; solo, infatti, con Lorenzo il Magnifico e Innocenzo VIII la pace divenne più stabile e sicura, portando nuova linfa vitale allo stesso Castello.

Il medioevo era ormai al termine e, come in tutti i periodi di passaggio, il quadro polito si faceva sempre più acceso: nel 1505 proprio a Piegaro si riunirono il cardinale Giovanni dei Medici, Giampaolo Baglioni, che aveva occupato il perugino, Pandolfo Petrucci, signore di Siena e Bartolomeo d’Alviano, uomo d’arme con l’intento di restaurare la signoria dei Medici a Firenze. Giulio II, il nuovo pontefice, ostacolò i piani del convegno e, in viaggio verso Ferrara, passò la notte a Piegaro, dove fu accolto con entusiasmo. Il Castello, negli anni successivi, poté governarsi abbastanza autonomamente senza interferenze papali.

Dopo alcune carestie dovute a calamità naturali, il Papa Paolo III, a corto di denari, decise di aumentare il prezzo del sale, da cui derivò l’impropriamente detta Guerra del sale. Pernottò a Piegaro prima di arrivare a Perugia, dove si recò per imporre la nuova imposta e, approfittando della situazione, sottomise la città al dominio dello Stato Pontificio, che già includeva gran parte dell’Umbria, privandola di molte libertà circa la sua magistratura. Il pontefice soggiornò per altre cinque volte a Piegaro durante i suoi numerosi spostamenti verso Perugia, Paolo III per riconoscenza alla comunità, la onorificò con il titolo di Terra (‘paese importante’), le donò l’orologio pubblico e la esentò dalle imposte per diciotto anni.

Giulio III riuscì a restaurare a Perugia i privilegi di cui godeva, salvandola dalle grinfie del Marchese della Corgna. Mentre dopo il 1559 la Spagna aveva sotto il suo diretto dominio quasi la metà della Penisola, lo Stato Pontificio instaurò un periodo di pace, memore delle lunghe e interne lotte passate. Perugia e quindi Piegaro approfittarono di questo periodo migliorando le proprie condizioni civili, infrastrutturali ed economiche. Con l’annessione però del Ducato di Urbino al Papato (1631), si innescarono alleanze e rivalità che portarono i propri strascichi anche a Piegaro, che, per evitare ulteriori danneggiamenti, pagò l’imposta richiesta al duca Farnese.

I moti rivoluzionari e l’unità d’Italia

Alla fine del XVII secolo lo Stato della Chiesa era esteso, ma debole finanziariamente e politicamente, soprattutto a confronto con gli altri stati europei di gran lunga più evoluti. In Francia cominciò la carneficina di nobili e prelati, preludio alla rivoluzione francese che scardinò la monarchia a favore di stati liberali retti dalla dichiarazione dei diritti dell’uomo. Nel 1798 Napoleone e i francesi giunsero quindi in Italia, cacciarono dal trono il Papa e proclamarono la repubblica romana, ma nel 1800 lo stato pontificio fu ripristinato. Con il Congresso di Vienna (1814) si apre in Europa quella che viene definita come l’età della Restaurazione, intenzionata ad annullare le conquiste della rivoluzione francese per ripristinare le vecchie dinastie reggenti. Nacquero quindi società segrete e parallelamente ritornò il Tribunale dell’Inquisizione: anche alcuni Piegaresi furono arrestati con l’accusa di affiliazione massonica e cospirazione. Numerosi furono i tentativi di rivolta e sovvertimento del potere che cominciavano a concretizzarsi con Giuseppe Mazzini.

A Piegaro si erano ottenuti provvedimenti pubblici per l’approvvigionamento regolare di beni di prima necessità e nel 1847 fu istituita la guardia civica.

La prima guerra di Indipendenza contro l’impero austriaco nel 1849 vide la vittoria degli Asburgo, che dominavano tutta la penisola e l’allontanamento del sogno unificatore garibaldino, cui prese parte una schiera di volontari umbri e Piegaresi. Nonostante le repressioni, le speranze non diminuirono, anzi: Perugia, sulla scia di Bologna, insorse il 14 giugno 1859, imponendo alle autorità pontificie di abbandonare il territorio. Alla vigilia della battaglia Perugia si trovò sola a difesa della causa nazionale contro le agguerrite truppe svizzere, che saccheggiarono e uccisero orrendamente. L’anno successivo venne acclamato con entusiasmo incontenibile l’annessione di Perugia al Piemonte, ma all’unità completa della Penisola mancavano Venezia e Roma: nel 1870 Cadorna pose fine al millenario potere papale.

Gli ultimi cent’anni di vita di Piegaro

La prima guerra di Indipendenza contro l’impero austriaco nel 1849 vide la vittoria degli Asburgo, che dominavano tutta la penisola e l’allontanamento del sogno unificatore garibaldino, cui prese parte una schiera di volontari umbri e Piegaresi. Nonostante le repressioni, le speranze non diminuirono, anzi: Perugia, sulla scia di Bologna, insorse il 14 giugno 1859, imponendo alle autorità pontificie di abbandonare il territorio. Alla vigilia della battaglia Perugia si trovò sola a difesa della causa nazionale contro le agguerrite truppe svizzere, che saccheggiarono e uccisero orrendamente. L’anno successivo venne acclamato con entusiasmo incontenibile l’annessione di Perugia al Piemonte, ma all’unità completa della Penisola mancavano Venezia e Roma: nel 1870 Cadorna pose fine al millenario potere papale.

In piena seconda guerra mondiale, il 1941 vede una nuova vita per la vetreria che, grazie alla principessa Pallavicini, nuora della marchesa Misciatelli, venne costruita nel centro del paese, cui collaborarono importanti vetrai, tra cui Bormioli, Minetti e Prandi. Era moderna e dotata di macchine semiautomatiche e produceva a pieno regime 20.000 fiaschi al giorno. L’ubicazione era un grave limite per il trasporto delle merci, ma aveva il suo lato positivo: entrando di nascosto ci si poteva concedere una meritata doccia calda. Negli stessi anni l’imprenditore Angelo Moratti rilevò la Società mineraria del Trasimeno, portandola alla massima efficienza, il che permise alla famiglia di entrare anche nel mondo calcistico, con la squadra dell’Inter.

Le notizie dal fronte erano sempre meno incoraggianti e le sorti dell’Italia per niente serene: tra Africa, Russia e lager nazisti in molti non fecero ritorno e gli eserciti italo- tedeschi cominciarono a essere sconfitti. Dallo sbarco in Sicilia degli alleati, dalla destituzione di Mussolini, e dagli intensi bombardamenti nelle grandi città, arrivarono anche a Piegaro numerosi sfollati.

L’autista dell’automobile reale era un Piegarese, Wladimiro Rossi, che condusse Vittorio Emanuele III e la regina Elena in fuga fino a Brindisi dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. L’Italia era divisa: a nord Mussolini ricostituì un governo fascista sotto la tutela tedesca, mentre il meridione era governato da Badoglio. Dopo la liberazione di Roma, l’avanzata degli alleati proseguiva verso nord e arrivò fino al Trasimeno: in località Montebuono undici contadini perirono sotto il fuoco delle mitragliatrici dei tedeschi in fuga. A Piegaro, il 16 giugno 1944, le truppe tedesche fecero saltare i due ponti di accesso, il Municipio e Porta Romana, fortunatamente il paese venne evacuato e tutti fuggirono nelle campagne, nascondendo i pochi beni posseduti. Dalle case coloniche di parenti e amici, i Piegaresi, dopo aver udito un forte boato, videro il loro paese scomparire in una nuvola di polvere. L’indomani il paese era libero e ovunque s’incontrava gente in festa: si preparava a tornare alla vita di sempre con l’imminente mietitura del grano.

Le amministrazioni comunali del dopoguerra dovettero affrontare gravi problemi e lavorarono duro per ripristinare i servizi alla popolazione, ricevendo anche vari aiuti esterni: la marchesa Maria Carolina Masciatelli concesse provvisoriamente parte del piano terra del suo palazzo come sede degli uffici comunali di Piegaro. Vennero trascritti a mano gli atti, cambiati i nomi a strade e piazze, risarciti i contadini dei danni e ricostruito il teatro, il cui motto era delectando monet (dilettando insegna).

Imponenti opere di ricostruzione di città, strade, infrastrutture e acquedotti si susseguirono in tutta l’Umbria e anche a Piegaro, parallelamente al ripristino attività economiche: Terni, la città più colpita aveva subito oltre cento bombardamenti. Nello stesso anno del referendum nazionale del 2 giugno 1946, il comitato d’azione della valle del Nestore spingeva le istituzioni per la costituzione del comune di Tavernelle, dividendo di fatto a metà il territorio del comune di Piegaro, il cui consiglio respinse ripetutamente le richieste.

La riapertura della miniera a Pietrafitta e della vetreria, l’industria del tabacco, del mattone e dei concimi chimici in buona ripresa diedero nuove speranze alla cittadinanza e d’altro canto portarono a nuove tensioni sindacali e ondate di licenziamenti, causati dall’automazione e dalla concorrenza.

S’installarono fontanelle pubbliche e impianti elettrici in tutte le frazioni e costruite scuole e varie infrastrutture, ma non mancavano i luoghi d’aggregazione come le osterie e i giorni di mercato; fiorì ogni tipo di esercizio commerciale e di servizi, in quel periodo definito del miracolo italiano. Crescente benessere, educazione, sanità e assistenza si accompagnò a flussi migratori verso il nord o le grandi città. Anche a Piegaro le campagne si spopolarono lasciando l’agricoltura ancora arretrata ai pochi rimasti, ma parallelamente nacquero numerosi Comitati cittadini per la rinascita dei paesi, con l’intento di promuovere il benessere comune: ambulatori, asili, strade, impianti sportivi e ricreativi. Nel 1955 dopo varie trattative e forme consorziali, la società tedesca Siemens è incaricata della costruzione della centrale termoelettrica nei pressi di Pietrafitta e dei giacimenti di lignite.

Cominciava a diffondersi la televisione, vista in comunità al bar centrale, e anche Lambretta e Vespa stavano diventando i mezzi a motore più diffusi; ma il benessere non era ancora per tutta la popolazione: la direzione della centrale termoelettrica licenziò numerose maestranze piegaresi generando forte malcontento e precarietà. Negli anni Cinquanta e fino ai Settanta era ancora molto diffuso il lavoro delle donne come rivestitrici di fiaschi a domicilio oppure in campagna a raccogliere il tabacco, partendo la mattina tutte assieme in bicicletta direzione Macereto o Tavernelle.

Nel 1960, dopo varie peripezie, venne costituita l’attuale Vetreria cooperativa Piegarese che dovette affrontare numerosi problemi soprattutto all’avvio: il primo stipendio venne erogato solo sei mesi più tardi. In quell’anno a cavallo tra estate e autunno, le piogge torrenziali produssero una memorabile alluvione nei comuni di Piegaro e Panicale.

Quando l’Italia intera si preparava alla contestazione del Sessantotto, che combatteva le ingiustizie, la discriminazione della donna e le esclusioni sociali, il sogno dei soci della cooperativa del vetro, ovvero quello di costruire una più grande, moderna e funzionale vetreria si concretizzò. Il fermento culturale arrivò anche a Piegaro in varie forme: spettacoli teatrali, sale prova per musicisti, la società sportiva, il circolo Endas nonché la pubblicazione periodica di un opuscolo, Il Ponte, con poesie e articoli giornalisti.
Nuove strutture e servizi furono apportanti nei vari comuni del comprensorio: uno fra tutti la realizzazione del parco del Monte Arale, attrezzato dalla Comunità Montana, per offrire possibilità di svago e gioco immersi nella natura. Un’altra iniziativa pensata in un ambito più vasto di valorizzazione paesaggistica della Valle del Nestore, è l’istituzione del Museo Paleontologico di Pietrafitta, inaugurato nel 2011, al fine di conservare ed esporre numerosi reperti rinvenuti nella miniera di lignite, tra cui mammuth, felini e tartarughe.

La vita continua a fluire tranquilla e pacifica a Piegaro, che, senza stravolgimenti, mantiene lo sguardo verso il futuro, in un territorio talmente ricco di storia, arte e tradizioni, dove però sono sempre le persone a fare la differenza.