Il percorso museale
L’edificio che ospita al suo interno il percorso museale, ne costituisce di per sé l’elemento di maggiore interesse. Si tratta infatti della principale fabbrica di vetro di Piegaro, forse presente in quest’area del paese già dalle fasi più antiche. La documentazione di archivio attesta la presenza di una vetreria in questo punto almeno dal XIV secolo, ma nulla impedisce di ipotizzare che un officina vetraria esistesse qui già in precedenza. La fabbrica funzionò fino al 1968, quando la produzione venne spostata nel nuovo impianto fuori dalle mura del paese.
Dopo una fase di abbandono, l’edificio, monumento fortemente identitario per Piegaro e il suo territorio, venne acquistato dal Comune , e con un attento restauro, venne recuperato, in modo da rendere fruibile questa rara e interessante testimonianza di archeologia industriale. Un grande plastico, risultato di un lungo e accurato lavoro artigianale, è esposto nel percorso museale, e permette di comprendere la struttura generale del complesso, che si sviluppa su tre piani, e gli utilizzi dei vari ambienti nella fase di attività della fabbrica. Recentemente il museo si è dotato di un nuovo percorso multimediale, per una visita interattiva tramite QR Code, in tutta sicurezza.
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1. L’area degli Uffici
Il piano superiore del complesso edilizio che ospita il museo era un tempo occupato principalmente dagli uffici, tranne che per alcune aree, dove avveniva l’ultima fase della lavorazione dei fiaschi, lo sbiancamento dell’impagliatura tramite zolfo. Oggi in questa porzione di edificio sono stati ricavati diversi ambienti: una sala conferenze, un laboratorio ed un magazzino, utilizzati per le numerose attività proposte dal museo, come convegni, seminari, corsi di artigianato per adulti e ragazzi.
2. Sala delle Volte
Questo ambiente costituisce probabilmente una delle parti più antiche del complesso edificio. Le suggestive volte a crociera, ancora annerite dal fumo, dovevano ospitare un impianto produttivo già prima delle modifiche che portarono all’unificazione dei due corpi di fabbrica per ottenere, nel XIX secolo uno spazio unico all’interno del quale trovarono collocazione le varie fasi del ciclo produttivo.
3. La Mescola
Il primo passaggio della produzione consisteva nella raccolta delle materie prime, e nella composizione del preparato che sarebbe poi stato fuso nel forno. Gli elementi fondamentali utilizzati erano costituiti da sabbia silicea (estratta nelle vicinanze di Castiglione del Lago), soda o potassa (i cosiddetti fondenti, che servivano ad abbassare la temperatura di fusione del composto) e calce (lo stabilizzante che serviva a far sì che il manufatto mantenesse la forma che gli veniva data). A questi elementi di base potevano esserne aggiunti altri, come ad esempio i coloranti. Molto spesso veniva unito al composto anche il cosiddetto “vetraccio”, il vetro riciclato.
4. Il Corridoio
Questo vano di collegamento, venne inglobato nel complesso produttivo al momento dell’ampliamento, nel XIX secolo. In precedenza i due corpi di fabbrica che vennero poi collegati, correva una strada, facilmente individuabile osservando in direzione della porta d’ingresso e della finestra all’altra estremità del corridoio.
5. La Sala del Forno
In questo ambiente si svolgeva la fase principale del ciclo produttivo: la lavorazione del vetro. In prossimità del forno le temperature potevano essere altissime, anche in inverno: questo rendeva particolarmente faticose le mansioni di chi operava in quest’area, e proprio per fare in modo che l’aria circolasse, venne progettato l’alto soffitto. Un terrazzino, posto sulla parete che separa il corridoio dalla sala del forno, permetteva di affacciarsi dall’area degli uffici, attraverso una porta (ora murata), direttamente sulla sala del forno.
7. Il Forno
Dell’antico forno fusorio resta la base del muro perimetrale che racchiude una parte dell’ultimo vetro presente al suo interno al momeno dello spegnimento, nel 1968. La struttura, che era chiusa da una bassa volta, recentemente ricostruita in ferro e nella quale sono state ricollocate le antiche bocche per il prelievo del vetro, veniva riscaldata attraverso un sistema di cunicoli, che correvano sotto ilbacino e, al suo interno, potevano essere raggiunte temperature intorno ai 1400°C. Nella parte più lontana dal bruciatore, dove la temperatura arrivava a circa 1200°C, veniva prelevato il vetro per la lavorazione. Qui la parete del forno seguiva un andamento semicircolare, e lungo di essa si aprivano tre bocche (le cosiddette “cuffie”), che permettevano di attingere dalla vasca il vetro al giusto livello di viscosità e affinaggio. Al mometnto dello spegnimento vennero praticati dei fori sulla parete del forno e nel pavimento della sala, allo scopo si far confluire il vetro incandescente, ancora all’interno, nella camera di contenimento sottostante. Si procedeva a questa operazione ogni volta che il forno veniva spento per essere restaurato (ogni 2-3 anni), allo scopo di liberare la struttura e di recuperare il vetro, che in seguito veniva frantumato e riciclato. Un piccola finestra nel pavimento rende tuttora visibile l’apertura attraverso la quale il vetro venne fatto scendere per l’ultima volta, con la cascata di vetro che confluisce nella maestosa colata, al piano sottostante.
8. La lavorazione
Fino agli anni ’50 del ‘900, la lavorazione era completamente manuale. Lo strumento principale era la canna da soffio, attraverso la quale veniva prelevato il cossiddetto “bolo” di vetro. A partire da quest’ultimo si poteva ottenere, attraverso la soffiatura, ogni tipo di manufatto. La lavorazione per soffiatura prevedeva l’utilizzo di utensili e stampi per per modellare fondi, colli o forme particolari. A partire dagli anni ’50 vennero introdotte le macchine semiautomatiche, che permettevano la soffiatura entro stampi, attraverso un sistema ad aria compressa.
9. Il Tunnel della Tempera
Lungo la parete nord (quella adiacente la ciminiera) del piano principale, tra la sala del forno e quella in cui veniva effettuata la “mescola”, correva una struttura (ora non più esistente) funzionale all’ultima fase della lavorazione, il cosiddetto “tunnel della tempera”, un forno dalla forma allungata che all’imboccatura aveva una temperatura di circa 800°C, e all’altra estremità di circa 100°C. I manufatti, subito dopo la lavorazione, dovevano essere raffreddati molto lentamente al suo interno per evitare rotture causate dagli eccessivi sbalzi di temperatura.
10. La saletta delle Giornate
La struttura della fabbrica, ampliandosi, inglobò parte delle antiche mura medievali, con uno dei torrioni difensivi, i cui ambienti interni divennero parte integrante dell’impianto produttivo. In corrispondenza della sala principale, il piccolo ambiente all’interno del torrione venne sfruttato come luogo di registrazione delle giornate di lavoro delle singole squadre di operai: le produzioni giornaliere venivano segnate su tabelle ricavate a intonaco sul muro. Immediatamente al di sopra di questo ambiente, un’altra saletta delle stesse dimensioni era utilizzata come spogliatoio e area di ristoro.
11. Sistema di riscaldamento del Forno
Il forno veniva riscaldato tramite un sistema di cunicoli che correva sotto il pavimento del bacino, nel quale circolava aria calda da un bruciatore il cui alloggiamento è ancora visibile lungo le scale che scendono al piano seminterrato. Il sistema di cunicoli si raccordava con la base della ciminiera, tramite un collegamento oggi non più visibile, per l’espulsione dei fumi prodotti dalla combustione.
12. I Magazzini
Quasi tutto il piano seminterrato era utilizato con funzione di magazzino. La struttura è bassa e massiccia: essa infatti doveva sostenere il peso del grande edificio, e oltre ad esso quello del forno di fusione e del vetro in esso contenuto. All’interno di questi articolati spazi, trovavano posto sia le materie prime che i prodotti finiti. Particolarmente funzionale era la conservazione in questo settore, dove le temperature erano elevate a causa della scarsa altezza del soffitto e dalla presenza del riscaldamento del forno, di sabbia e legna che essiccandosi potevano avere una resa migliore.
13. La Colata
Il cuore del percorso nel piano seminterrato è costituito dall’apertura che permette la visione della camera di contenimento in cui abitualmente veniva raccolto il vetro nella fase di spegnimento del forno. Al momento della dismissione, nel 1968, una grande quantità di vetro incandescente, ancora presente nel bacino di fusione, venne fatta confluire al suo interno senza essere successivamente rimossa, come invece avveniva abitualmente quando la fabbrica era in funzione. Oggi la grande colata di vetro, con il suo intenso verde smeraldo, costituisce senza dubbio la visione più suggestiva all’interno del percorso museale, efficace “monumento” ai secoli di storia produttiva che si sono succeduti nel cuore del borgo di Piegaro.
Il piano superiore del complesso edilizio che ospita il museo era un tempo occupato principalmente dagli uffici, tranne che per alcune aree, dove avveniva l’ultima fase della lavorazione dei fiaschi, lo sbiancamento dell’impagliatura tramite zolfo. Oggi in questa porzione di edificio sono stati ricavati diversi ambienti: una sala conferenze, un laboratorio ed un magazzino, utilizzati per le numerose attività proposte dal museo, come convegni, seminari, corsi di artigianato per adulti e ragazzi.
Questo ambiente costituisce probabilmente una delle parti più antiche del complesso edificio. Le suggestive volte a crociera, ancora annerite dal fumo, dovevano ospitare un impianto produttivo già prima delle modifiche che portarono all’unificazione dei due corpi di fabbrica per ottenere, nel XIX secolo uno spazio unico all’interno del quale trovarono collocazione le varie fasi del ciclo produttivo.
Il primo passaggio della produzione consisteva nella raccolta delle materie prime, e nella composizione del preparato che sarebbe poi stato fuso nel forno. Gli elementi fondamentali utilizzati erano costituiti da sabbia silicea (estratta nelle vicinanze di Castiglione del Lago), soda o potassa (i cosiddetti fondenti, che servivano ad abbassare la temperatura di fusione del composto) e calce (lo stabilizzante che serviva a far sì che il manufatto mantenesse la forma che gli veniva data). A questi elementi di base potevano esserne aggiunti altri, come ad esempio i coloranti. Molto spesso veniva unito al composto anche il cosiddetto “vetraccio”, il vetro riciclato.
Questo vano di collegamento, venne inglobato nel complesso produttivo al momento dell’ampliamento, nel XIX secolo. In precedenza i due corpi di fabbrica che vennero poi collegati, correva una strada, facilmente individuabile osservando in direzione della porta d’ingresso e della finestra all’altra estremità del corridoio.
In questo ambiente si svolgeva la fase principale del ciclo produttivo: la lavorazione del vetro. In prossimità del forno le temperature potevano essere altissime, anche in inverno: questo rendeva particolarmente faticose le mansioni di chi operava in quest’area, e proprio per fare in modo che l’aria circolasse, venne progettato l’alto soffitto. Un terrazzino, posto sulla parete che separa il corridoio dalla sala del forno, permetteva di affacciarsi dall’area degli uffici, attraverso una porta (ora murata), direttamente sulla sala del forno.
Visibile anche dal finestrone sul fondo della sala grande, la ciminiera, perfettamente conservata, svetta sugli edifici circostanti e indica la collocazione dell’antica fabbrica anche a chi si avvicina al paese dalla pianura.
Dell’antico forno fusorio resta la base del muro perimetrale che racchiude una parte dell’ultimo vetro presente al suo interno al momeno dello spegnimento, nel 1968. La struttura, che era chiusa da una bassa volta, recentemente ricostruita in ferro e nella quale sono state ricollocate le antiche bocche per il prelievo del vetro, veniva riscaldata attraverso un sistema di cunicoli, che correvano sotto ilbacino e, al suo interno, potevano essere raggiunte temperature intorno ai 1400°C. Nella parte più lontana dal bruciatore, dove la temperatura arrivava a circa 1200°C, veniva prelevato il vetro per la lavorazione. Qui la parete del forno seguiva un andamento semicircolare, e lungo di essa si aprivano tre bocche (le cosiddette “cuffie”), che permettevano di attingere dalla vasca il vetro al giusto livello di viscosità e affinaggio. Al mometnto dello spegnimento vennero praticati dei fori sulla parete del forno e nel pavimento della sala, allo scopo si far confluire il vetro incandescente, ancora all’interno, nella camera di contenimento sottostante. Si procedeva a questa operazione ogni volta che il forno veniva spento per essere restaurato (ogni 2-3 anni), allo scopo di liberare la struttura e di recuperare il vetro, che in seguito veniva frantumato e riciclato. Un piccola finestra nel pavimento rende tuttora visibile l’apertura attraverso la quale il vetro venne fatto scendere per l’ultima volta, con la cascata di vetro che confluisce nella maestosa colata, al piano sottostante.
Fino agli anni ’50 del ‘900, la lavorazione era completamente manuale. Lo strumento principale era la canna da soffio, attraverso la quale veniva prelevato il cossiddetto “bolo” di vetro. A partire da quest’ultimo si poteva ottenere, attraverso la soffiatura, ogni tipo di manufatto. La lavorazione per soffiatura prevedeva l’utilizzo di utensili e stampi per per modellare fondi, colli o forme particolari. A partire dagli anni ’50 vennero introdotte le macchine semiautomatiche, che permettevano la soffiatura entro stampi, attraverso un sistema ad aria compressa.
Lungo la parete nord (quella adiacente la ciminiera) del piano principale, tra la sala del forno e quella in cui veniva effettuata la “mescola”, correva una struttura (ora non più esistente) funzionale all’ultima fase della lavorazione, il cosiddetto “tunnel della tempera”, un forno dalla forma allungata che all’imboccatura aveva una temperatura di circa 800°C, e all’altra estremità di circa 100°C. I manufatti, subito dopo la lavorazione, dovevano essere raffreddati molto lentamente al suo interno per evitare rotture causate dagli eccessivi sbalzi di temperatura.
La struttura della fabbrica, ampliandosi, inglobò parte delle antiche mura medievali, con uno dei torrioni difensivi, i cui ambienti interni divennero parte integrante dell’impianto produttivo. In corrispondenza della sala principale, il piccolo ambiente all’interno del torrione venne sfruttato come luogo di registrazione delle giornate di lavoro delle singole squadre di operai: le produzioni giornaliere venivano segnate su tabelle ricavate a intonaco sul muro. Immediatamente al di sopra di questo ambiente, un’altra saletta delle stesse dimensioni era utilizzata come spogliatoio e area di ristoro.
Il forno veniva riscaldato tramite un sistema di cunicoli che correva sotto il pavimento del bacino, nel quale circolava aria calda da un bruciatore il cui alloggiamento è ancora visibile lungo le scale che scendono al piano seminterrato. Il sistema di cunicoli si raccordava con la base della ciminiera, tramite un collegamento oggi non più visibile, per l’espulsione dei fumi prodotti dalla combustione.
Quasi tutto il piano seminterrato era utilizato con funzione di magazzino. La struttura è bassa e massiccia: essa infatti doveva sostenere il peso del grande edificio, e oltre ad esso quello del forno di fusione e del vetro in esso contenuto. All’interno di questi articolati spazi, trovavano posto sia le materie prime che i prodotti finiti. Particolarmente funzionale era la conservazione in questo settore, dove le temperature erano elevate a causa della scarsa altezza del soffitto e dalla presenza del riscaldamento del forno, di sabbia e legna che essiccandosi potevano avere una resa migliore.
Il cuore del percorso nel piano seminterrato è costituito dall’apertura che permette la visione della camera di contenimento in cui abitualmente veniva raccolto il vetro nella fase di spegnimento del forno. Al momento della dismissione, nel 1968, una grande quantità di vetro incandescente, ancora presente nel bacino di fusione, venne fatta confluire al suo interno senza essere successivamente rimossa, come invece avveniva abitualmente quando la fabbrica era in funzione. Oggi la grande colata di vetro, con il suo intenso verde smeraldo, costituisce senza dubbio la visione più suggestiva all’interno del percorso museale, efficace “monumento” ai secoli di storia produttiva che si sono succeduti nel cuore del borgo di Piegaro.
Virtual Tour 360
Un nuovo modo di visitare il Museo del Vetro. Grazie alla possibilità di muoversi e spostarsi in diversi punti di osservazione, il Virtual Tour 360 consente di effettuare una vera e propria visita virtuale, esplorando gli ambienti con un realismo sorprendente.
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